Gli albori di un sogno.
Il Sogno di un ostello per i pellegrini che arrivavano a piedi a Roma, periodicamente si riaffacciava. Sogno che, al risveglio, presentava un conto salato di speranze andate deluse! Don Paolo Asolan, il Cappellano del Capitolo Romano, molte volte aveva annunciato una possibile grande notizia meravigliosa: “Credo di aver trovato dei locali che andrebbero bene per l’Ostello dei Pellegrini”, oppure “Proprio ieri ho parlato con Padre […] per quei locali della casa che sono inutilizzati. Mi è sembrato possibilista all’idea di aprire un Ostello qui a Roma”.
Così, per anni.
Malgrado le delusioni il Capitolo Romano della Confraternita di San Jacopo non rimaneva inoperoso! Per le sue attività migrava e chiedeva asilo, da una chiesa all’altra dell’Urbe, organizzava incontri, si rilasciavano le credenziali per il Cammino di Santiago; ed era consapevole che operava in una Città Santa, la “Seconda Gerusalemme” per definizione: qui terminava un cammino ma da lei ne iniziavano altri.
Della Via Francigena, percorsa per secoli dai pellegrini che giungevano a Roma dal Nord, si era quasi persa memoria, ma era una via di pellegrinaggio che si stava riaprendo.
I pochi pellegrini che giungevano nell’Alma Urbe erano considerati personaggi pittoreschi e stravaganti, partiti per un avventura, il cui significato profondo sfuggiva ai più. La città stessa (materna e accogliente con tutti) sembrava non essere in grado di contemplare quel tipo di accoglienza, anzi! Faceva di tutto per sminuire, declassare il fatto, inglobando l’ignaro pellegrino nella sua eterna essenza: confusionaria e materna, sbracata e disincantata, così abile a stemperare la sua santità in una monumentale stratificazione storica millenaria.
Il pellegrino era, per così dire, lasciato a sé stesso; per questo motivo per noi, pellegrini compostellani (e quindi memori della rete di accoglienze sul Cammino di Santiago) e appartenenti ad una Confraternita di pellegrini, era necessario trovare luogo per un ostello.
“Forse l’ho trovato!” annunciò un giorno (per l’ennesima volta!) Don Paolo Asolan.
“Dove?” domandai con un fondo di disincanto (Dopo tanti tentativi andati a vuoto era permesso!)
“A Testaccio, presso le Suore della Divina Provvidenza! Praticamente a metà strada fra San Pietro e San Paolo!”
Alla parola Provvidenza il mio larvato (e annoso!) disincanto sparì e commentai:
“Allora se c’è di mezzo la Provvidenza, l’abbiamo trovato!”
Uno Spedale per l’Alma Urbe
La conoscenza con gli spazi del futuro ostello avvenne in una mattina di una calda giornata di luglio. Il portone di una rumorosissima strada di Testaccio venne aperto su un’altra dimensione da Madre Donata, la Superiora della Comunità.
Dentro venimmo avvolti da un silenzio raccolto, che ci seguì nel cortile dove gorgogliava lo zampillo di una fontana, nella cripta dove si veneravano le spoglie mortali di Madre Elena Bettini (Venerabile fondatrice della Congregazione), e nella piccola chiesa dedicata a Maria Madre della Divina Provvidenza che, per anni, era stata l’unica del quartiere.
E infine, dopo due rampe di scale, entrammo nei locali destinati ad accogliere i pellegrini.
Dopo la prima occhiata, fu chiaro che i nostri desideri passati tutto sommato erano modesti: la Provvidenza Divina pensava (e agiva!) in grande, perché aveva predisposto altri spazi per accogliere i pellegrini.
Spazi ampi, luminosi, che per anni avevano conosciuto altra storia; ma erano pronti a lasciare, per così dire, il testimone a una nuova storia tutta da costruire. Spazi da modificare, rinfrescare, riempire, amare. Altra vita da raccontare.
Dopo quella visita, passò il tempo dei sogni a occhi aperti e s’iniziò a costruire; intorno a quello spazio si raccolsero altri confratelli del Capitolo Romano.
Bisognava dare un nome al nuovo Ostello: “Provvidenza” senz’altro e poi San Giacomo protettore della nostra Confraternita… Ma l’altro? L’ostello si trovava nell’Alma Urbe, quindi non c’era che l’imbarazzo della scelta! Forse San Paolo? L’ infaticabile pellegrino del Vangelo, il Gigante, l’Apostolo delle Genti? San Pietro, il Pescatore?
Ma Roma custodiva anche le spoglie mortali di un Santo pellegrino, di cui avevamo la grazia e il privilegio di venerare la tomba: un Santo che, alla fine del XVIII secolo, aveva scritto la sua storia di vita e di santità pellegrinando per i grandi santuari europei per poi fermarsi nell’Urbe Santa, ultimo fra gli ultimi, povero e pellegrino urbano fra le sue chiese e sante memorie; tutto questo fino alla sua morte, avvenuta per stenti, dopo essersi accasciato un Giovedì Santo del 1783, sui gradini della Chiesa di Santa Maria ai Monti. San Benedetto Giuseppe Labre.
Spedale della Provvidenza di San Giacomo e San Benedetto Labre.
Spedale quindi, perché con questo nome nei secoli passati s’indicava il luogo dove si ospitavano i pellegrini e i forestieri.
Ma che tipo di Spedale era quello romano? Certo s’innestava nel solco dell’accoglienza tracciato da anni dalla Confraternita di San Jacopo di Compostela con lo Spedale di San Nicolas de Puente Fitero sul Cammino di Santiago, e di Radicofani sulla Via Francigena, ma lo Spedale della Provvidenza aveva molteplici particolarità: era un punto di arrivo e di fine pellegrinaggio, ma anche di transito e di partenza verso altre mete sante.
Punto di arrivo sulla Via Francigena, di transito (o di partenza) verso Assisi, San Michele Arcangelo, Bari, Santa Maria di Leuca e Gerusalemme.
L’ Alma Urbe era quindi un crocevia di Cammini di Fede (1), ma per molti pellegrini significava la fine del pellegrinaggio, quando cessa l’urgenza della sveglia mattutina, dello zaino da fare, e del rimettersi in cammino. Lì si era arrivati alla meta, e quindi a casa.
Nel riempire quegli spazi donatici dalla Divina Provvidenza – aiutati anche da benefattori – ci guidò l’idea di comporre, pezzo per pezzo, una casa, dove si è attesi e accolti. Un luogo dove ritemprarsi e raccogliere le idee, fermarsi un poco per poi ritornare al luogo di partenza.
Un luogo che era, nei suoi spazi, colori, atmosfera, in sintonia con la città, quasi una sua propaggine.
Visi e storie sono rimasti impressi nel cuore di noi confratelli o degli spedalieri che vi hanno prestato servizio. Il Rito della Lavanda dei piedi ai primi pellegrini ospitati segnò l’incipit alla storia dello Spedale della Provvidenza; in quello stesso momento, altri spedalieri compivano gli stessi gesti a San Nicolas de Puente Fitero e a Radicofani, avevano preparato la cena e poi invitato i pellegrini a mettersi a tavola, nel segno della condivisione.
Il primo pellegrino: Elia, giovanissimo, arrivato dall’ Olanda a piedi.
Iniziò così la Storia dello Spedale della Provvidenza: la sua inaugurazione ufficiale con il Rettore e i confratelli venuti da tutta Italia, l’accoglienza dei pellegrini, il rilascio delle credenziali del pellegrino, l’organizzazione dei corsi di formazione per gli spedalieri, gli incontri periodici su temi biblici aperti a tutti, l’organizzazione di convegni e incontri di preparazione al pellegrinaggio.
Iniziarono anche i pellegrinaggi urbani all’ interno della città; la riscoperta di itinerari di fede e devozione all’ interno delle sue chiese (il “visitandum est!” caro ai pellegrini); con il passare del tempo diventarono momenti d’incontro fra pellegrini, di catechesi itinerante, scoperta sempre di rinnovata meraviglia di una sua Santità non sempre valorizzata.
Così è avvenuto per la Corona di Maria, il pellegrinaggio urbano che si svolge ogni primo sabato del mese in onore della Vergine, visitando le chiese a lei dedicate: un percorso di Fede, unito allo stupore di scoprire un patrimonio iconico di devozione secolare, arte e storia, lambito ogni giorno da passi frettolosi e dal caotico traffico cittadino.
Il trasloco a Via dei Genovesi
Le alterne vicende umane ci portarono qualche anno dopo a cercare nuovi locali per lo Spedale. E di nuovo, l’impresa sembrò impossibile! Dove trovare in centro a Roma spazi che, pur lontanamente, fossero paragonabili a quelli messi a disposizione, con tanta disinteressata generosità, dalle Figlie della Divina Provvidenza? L’impresa si presentò subito come una battaglia persa in partenza o come cercare il classico ago nel pagliaio. Iniziò, ovviamente, anche la trafila dei rifiuti garbati.
Ma avevamo dimenticato che la Provvidenza fa sempre le cose in grande… Una mattina Don Paolo, passando come ogni giorno davanti al cancello delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria in Trastevere, d’impulso pensò “Provo a domandare anche qui…”
Qualche giorno dopo, facemmo conoscenza con il nuovo spazio che la Provvidenza ci stava per donare… Il cancello si aprì su un giardino nascosto da un alto muraglione che sembrava dividerlo dal mondo esterno. Contro un terso e intenso cielo di giugno si stagliava il bellissimo campanile della Basilica di Santa Cecilia.
La bellezza nascosta e raccolta del luogo toglieva il fiato… Se quello era il biglietto da visita cos’altro potevamo aspettarci dentro?
Poco dopo ci vennero incontro una serie di grandi spazi (molto più grandi dei precedenti!) e anche questi sembravano già predisposti per l’accoglienza ai pellegrini, e avevano conosciuto un’altra storia, ma erano pronti ad accoglierne un’altra…
E venne il tempo di impacchettare le cose, salutare le buone Sorelle della Divina Provvidenza, di nuovo rinfrescare e ripulire nuovi ambienti.
In quei primi giorni iniziammo ad abituarci alla voce festante e stentorea delle campane della Basilica di Santa Cecilia e al gorgoglio della sua fontana, a guardare incantati gli alberi di arance e limoni del giardino carichi di frutti ancora acerbi, le foglie argentee dell’albero di ulivo, a pianificare lo spazio con lunghe discussioni, trovare un nuovo ordine per le cose.
Ma eravamo felici come bambini. Lo percepivamo mentre lavoravamo con gioia incredula: com’era stato possibile un miracolo così grande?
Don Paolo Asolan ebbe poi a dire: “Il Tempo ci dirà se questa è opera di Dio”.
Di nuovo l’inaugurazione, ma si trattava della ricomposizione di una storia già iniziata anni prima in altro luogo, ma tuttavia un nuova storia iniziava quel giorno, anche questa, scritta dai pellegrini accolti, dai confratelli che si erano aggiunti al primissimo nucleo iniziale.
Continuava il Cammino dello Spedale della Provvidenza che, per grazia di Dio, continua ancora.
Lucia Colarusso
(1) Il Crocevia di Cammini di Fede è espresso molto bene del timbro dello Spedale della Provvidenza, che racchiude i simboli dei grandi pellegrinaggi cristiani: Santiago (la conchiglia), Roma (le chiavi di San Pietro), San Michele Arcangelo (la spada) Gerusalemme (la croce del Santo Sepolcro). In basso il simbolo francescano delle braccia incrociate, riferimento alla Casa Francescana che ha accolto lo Spedale fra le sue mura.
Il timbro dello Spedale di Testaccio in basso riportava i gigli, riferimento al brano evangelico (Mt. 6,28-30) e simbolo delle Figlie della Divina Provvidenza.